Coloro che vivono da risorti Dopo un cammino di liberazione
- Creato Domenica, 19 Aprile 2015 09:00
- 19 Aprile 2015
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D’altra parte se non vi fosse stato questo capitale fatto storico, chi ricorderebbe ancora Gesù? Certo, un grande predicatore, un ottimo maestro di concordia, un infallibile guaritore, un consolante esempio di pazienza; ma questo genere di maestri non è affatto nuovo nella storia dell’umanità. Quanti, prima di Gesù, predicavano gli stessi concetti, a cominciare dai maestri dell’antico oriente fino ai filosofi greci, come Socrate. Il nostro non è soltanto il Messia che ha dato la vista ai ciechi, l’udito ai sordi e che ha raccomandato la pace. Il nostro Messia ha vinto la morte, pur accogliendo in sé, apparentemente, tutte le caratteristiche di un Messia sconfitto.
Gli altri, come Socrate, hanno incontrato una morte quasi sempre serena, circondata dall’affetto di discepoli e amici. Il nostro muore nella totale solitudine, accanto a sé ha soltanto la madre annientata da dolore sovrumano e un discepolo molto giovane.
La morte fu l’infamante crocifissione, riservata a schiavi, ladri, briganti. Si pensi allo schiavo Spartaco, ex soldato romano, disertore ridotto in schiavitù: raccolse undicimila schiavi, si ribellò al potere, tenne per qualche tempo in scacco i romani e poi fu vinto e crocifisso sulla via Appia con altri seimila suoi seguaci. Se il Messia non fosse risorto sarebbe caduto nell’oblio come questo coraggioso quanto sfortunato condottiero, che voleva liberare gli infelici dalla loro sorte orribile. Cristo appare uno sconfitto, perché muore in croce; ma è risorto, ed è questa “postilla” che fa del nostro Maestro il Messia atteso dalle genti. Non i suoi miracoli, pure veri e dimostrazione concreta dell’amore di Dio per il suo popolo; non la sua predicazione, affascinante, unica nella storia umana, tanto che “insegnava come uno che ha autorità” (Mt 7,29; Mc 1,22), ma la sua Risurrezione, fatto storico, accaduto nella realtà e non nella coscienza soltanto di coloro che vi hanno creduto.
Ma, potremmo domandarci, in che misura la Risurrezione è un fatto storico?
Occorre qui operare una distinzione tra ciò che è storico e direttamente verificato, e ciò che è storico anche se non direttamente verificato.
Il primo aspetto è nell’ambito dell’esperienza e della verificabilità umana, il secondo riguarda ciò che, pur non essendo attingibile in se stesso direttamente, lo è però indirettamente, mediante la riflessione su fatti storicamente accaduti che sono in relazione con esso.
Ora la Risurrezione è fatto storico pur non direttamente verificato. Infatti riflettendo su fatti storici complementari (quasi come tessere di un mosaico che unite trasmettono e definiscono l’intenzione dell’autore) quali il ritrovamento del sepolcro vuoto; le apparizioni di Gesù ai suoi discepoli; il mutamento di carattere in essi avvenuto rispetto a ciò che erano stati durante la vita di Gesù e, soprattutto, durante e dopo la sua passione e la sua morte; la nascita e l’espansione della Chiesa, noi possiamo avere la certezza morale e quindi storica che Gesù è realmente risorto. In conclusione la Risurrezione è un fatto storico a motivo delle tracce inconfutabili che ha lasciato nella storia.
Non si renderà mai abbastanza giustizia, quindi, al cattolicesimo che è attento al “Cristo della fede”, certo, ma non meno al “Gesù della storia”.
La nostra ragione è contagiata dalla logica del mondo, che stabilisce ciò che si deve desiderare e ciò che non va desiderato, ciò che è giusto e ciò che non lo è, ciò che è ragionevole e ciò che è irragionevole. I nostri santi, da quelli antichi come Giovanni de Matha, Francesco d’Assisi, Giovanni di Dio, a quelli moderni come Giovanni Bosco - del quale celebriamo quest’anno il bicentenario della nascita - non permisero alla loro ragione di adeguarsi al mondo, che in ogni età aveva le sue “buone ragioni”. Questi uomini vissero la Risurrezione: Giovanni de Matha liberando gli uomini dalle catene, Francesco liberando l’uomo dall’inganno della ricchezza, Giovanni di Dio liberando dalla disperazione della malattia, Giovanni Bosco donando speranza ai giovani.
Liberare è far risorgere se stessi e gli altri.
Sia nostro impegno, in questi giorni tanto oscuri, risorgere e aiutare a risorgere. Quando capiamo che è possibile volersi bene mentre pare impossibile secondo tutte le logiche; quando riusciamo a perdonare l’offesa che è impossibile perdonare; quando aiutiamo gli onesti a combattere sfruttamento e corruzione - “gravissima offesa ai poveri” (card. Angelo Bagnasco), quando riconosciamo il povero come beato e gli apriamo la porta, allora “la nostra luce sorgerà come l’aurora e davanti a noi camminerà la giustizia” (Is 58,8). Sarà questa la nostra Pasqua.
di Franco Careglio