Una grande sete di verità Per essere a immagine del Creatore
- Creato Domenica, 20 Marzo 2016 09:00
- 20 Marzo 2016
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Negli esseri viventi in generale il termine “anima” designa ciò che costituisce la loro vita; al contrario, ciò che è “inanimato” o “esanime” non è infatti vivo. Nell’essere umano in particolare l’anima è un qualcosa di essenziale per sentirsi vivo.
L’anima è il principio spirituale, immateriale e immortale in forza del quale accediamo alla coscienza di noi stessi, abbiamo una intelligenza e una volontà, possiamo cogliere - pur senza vederle - le realtà eterne e possiamo muoverci senza essere determinati unicamente dall’istinto.
Per una idea chiara e folgorante dell’anima umana basta guardare e ancor più “leggere” il celeberrimo affresco della Creazione di Adamo (280x570 cm) di Michelangelo Buonarroti, databile al 1511 e facente parte della decorazione della volta della Cappella Sistina nei Musei Vaticani. In quella raffigurazione che probabilmente non ha confronti al mondo, Dio dona il suo spirito, cioè l’anima, all’uomo, adagiato su uno sfondo naturale simboleggiante l’alba del mondo. L’Eterno, che si imprime nella memoria per il suo slancio leggero e potente, porge all’uomo il suo dito vivificante; il dito dell’uomo invece è alquanto curvo, quasi spento. Fondamentale per la visione biblica dell’uomo come anima è il testo di Genesi 2,7: “L’uomo divenne così un’anima vivente”. Questo accadde quando Dio - conformemente alla creazione del mondo da ciò che non aveva forma - “plasmò” l’uomo dalla “polvere della terra, soffiò in lui un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gn 2,7).
È chiaro che tutto ciò altro non è che la traduzione in linguaggio umano e quindi accessibile del mistero della creazione, incomprensibile dalla mente umana. Ma va detto che la narrazione biblica e la stessa opera michelangiolesca rappresentano un forza comunicativa che soltanto una potenza superiore, quella di Dio, poteva offrire.
Il termine “anima” ricorre circa 750 volte nell’Antico Testamento e indica quel soffio vitale che non solo ha dato vita all’uomo ma lo ha pure plasmato ad “immagine e somiglianza” di Dio. L’anima quindi è quello che per un vasaio è un vaso: la sua opera. Dio ha donato la vita all’uomo destinandolo ad “essere consorte della natura divina sfuggendo alla corruzione” (2 Pt 1,4). Di qui si riconosce che l’anima, come vaso, ha un solo desiderio: avere un contenuto. Di qui la fame e la sete dell’anima, anzitutto di conoscere per amare. Infatti, in quanto “immagine”, noi riceviamo l’impronta di ciò che raffiguriamo. Noi non siamo Dio stesso, ma la sua immagine. Questa inafferrabile distinzione si manifesta più fortemente quando noi uomini riproduciamo l’amore di Dio che ha creato la vita, quando cioè noi trasmettiamo la vita per amore in quanto uomo e donna. È in base a questo che Dio ci ha formato. Perciò, come noi abbiamo bisogno della Parola di Dio che dà la vita e della preghiera come risposta, abbiamo anche bisogno di dedizione e di dialogo nella verità, affinché “l’anima possa vivere” (Gn 1,27) e noi siamo noi stessi. La nostra anima, lo si riconosca o no, ha sete di verità che illumina il dialogo. Per questo vogliamo sperare che l’uomo con le sue temerarie e folli leggi non giunga al “trapassar del segno” (Par XXVI, 117) come fecero i progenitori. La somiglianza con Dio comporta anche l’aspetto del ricevere e dell’usare il potere e risponderne poi davanti a Dio (Gn 1,28). Qui nasce anche una sorta di anima della comunità, che trova la sua base nell’unica verità del matrimonio e della famiglia come pensati dal Creatore, non come pensati oggi da menti umane che paiono avere poco o nulla di umano.
È questa la fame primordiale dell’anima: l’essere ad immagine del Creatore.
Di altro ancora ha fame l’anima. Essa è mistero, e al mistero vuole ricongiungersi. Di qui il desiderio del cuore di conoscere Dio, di immergersi in Lui, Uno e Trino, incarnato, morto e – quel che è più – per noi risorto. Non si dimentichi la potente e umile frase di Sant’Agostino: “Ci hai fatti per Te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto fin che non riposa in Te”.
Ecco la vera fame dell’anima. La conoscenza dei due misteri principali della fede, Trinità e Risurrezione. Se al primo non possiamo per ora che accostarci in umile adorazione , il secondo, che abbiamo ancora avuto la gioia di celebrare pochi giorni fa, ci conduce sulla soglia del primo. Il riferimento alla Risurrezione di Cristo come momento della rivelazione di Dio è indispensabile per la dottrina cristiana della trascendenza, che ora riassumiamo nella categoria “anima”. Gesù rappresenta il fatto storico in cui la creazione ha trovato la possibilità di esprimersi appieno e di realizzare la somiglianza con Dio, delineata in Adamo e dall’infedeltà di questi offuscata.
Cristo è stato l’immagine perfetta di Dio che ha iniziato una fase nuova della storia umana. Essere salvati dalla Risurrezione non è tornare alla perfezione primitiva dell’anima, ma raggiungere un compimento e una ricchezza di vita solamente promessi nella condizione iniziale. Questa ricchezza infinita, contrastata lungo la storia dal peccato, è ora offerta in pienezza dalla Risurrezione e dalla vita eterna.
Non per nulla il grande tragediografo William Shakespeare - di cui si celebra quest’anno il IV centenario della morte - fa dire ad un suo personaggio, oppresso dal peccato: “Sali, sali in alto, anima mia! La tua sede è lassù, mentre la carne volgare sprofonda quaggiù per morire” (Riccardo II, V, 5).
di Franco Careglio