Senza essere manichei. DISCERNERE È LA PAROLA GIUSTA
- Categoria: EDITORIALE
- 19 Maggio 2017
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Èun modo spezzato, rattoppato, appesantito da mille fratture, il mondo d’oggi, dove il male e il bene si mescolano e si confondono, come forse è sempre stato, e dove però ci si era illusi nella forza dirompente dello sviluppo, della crescita guidata dalla scienza, della politica controllata dall’informazione e dalla partecipazione. E invece anche in questo nostro mondo, tutto appare confuso, fratturato, per certi versi ingessato, non ostante la continua invasione delle novità. Persino la coscienza presenta mille fratture: accanto al cittadino irreprensibile vivacchia e si nasconde il cittadino che cede ai compromessi e sotto il mantello della virtù si nasconde il profitto e l’affarismo.
Forse è sempre stato così, forse è normale che sia così, perché soltanto i manichei possono credere che il bene resti separato dal male.
Ma allora dobbiamo imparare a riconoscere le ferite del mondo, dobbiamo capire dove stanno le fratture e come si possano ricomporre.
Credevamo che il Mediterraneo, dopo secoli e secoli di guerre e di scorribande feroci, fosse diventato un mare di pace. Poi ci siamo ricreduti ed abbiamo scoperto che in questo nostro mare si continua a morire. Muoiono coloro che invano cercano una via di scampo dalla miseria, dalla fame, dalla guerra. Ci siamo commossi a vedere un Papa che, a Lampedusa, celebra la liturgia su un altare ricavato dai legni prelevati da una vecchia barca. E forse nella commozione, abbiamo perduto il messaggio. “No alla globalizzazione dell’indifferenza” aveva gridato Francesco. Ed ora l’indifferenza trova nuovo cemento, nell’idea che anche la generosità non è priva di ombre ed anzi reca le macchie del profitto. Sono bastate delle ombre, ed è crollata la fiducia, spegnendo la speranza.
Dobbiamo, invece, convivere con le fratture. Se il male si accosta al bene e cerca di mescolarsi con il bene, questo non vuol dire che tutto è male. D’altro canto il cammino della conversione è segnato dalle spine, oltre che dal profumo della verità. La virtù del discernimento è qualcosa che va ininterrottamente esercitata.
Occorre accettare il filtro e i vincoli della creaturalità. Lontano dal mito dell’uomo perfetto, dobbiamo accettare il peso della fragilità e il rischio della caduta. Per poi rialzarsi e riprendere il cammino.
Anche questo raccontarsi le cose attraverso i talk show televisivi è un vizio da cui prendere le distanze. Anzi in questo permanente chiacchiericcio si consuma la frattura fra racconto e memoria, sino a corrompere il racconto e a trasformare la memoria in una successione di immagini sbiadite e nostalgiche.
La memoria è ricerca continua, è inquietudine che sprona all’azione, è risorsa che spinge alla crescita. Quando invece inibisce lo sviluppo, non è più memoria e diventa vizio dell’anima.
In questo mese di maggio, che tradizionalmente ci sollecita a guardare alla figura di Maria, ci piace guardare alla sua casa di Efeso da cui, dopo la morte di Gesù, Ella guardava il Mediterraneo e incoraggiava i passi generosi della Chiesa nascente.
Lungo le rotte che solcano questo mare, abbiamo oggi bisogno di operatori di pace. Ancora una volta, è proprio qui che incontriamo chi conduce l’esistenza con i ceppi della schiavitù. E dobbiamo osare. Dobbiamo capire che gli schiavi vanno liberati dappertutto, incominciando dai luoghi in cui si determina la loro prigionia e quindi anche sulle sponde del continente africano. È qui che dobbiamo esercitare la nostra virtù del discernimento. È qui che dobbiamo alimentare la solidarietà e la speranza. Non possiamo aspettarli sulle sponde di casa nostra, dove in tanti non riusciranno mai ad arrivare. Dobbiamo andare loro incontro, con generosità, con perseveranza e, certamente, anche con discernimento
Nicola Paparella